I NOSTRI DIPARTIMENTI
L’HR Manager è una figura eclettica e trasversale, in grado di coniugare nel proprio lavoro competenze diverse che spaziano dalla psicologia alla comunicazione, fino alla giurisprudenza. Il professionista delle risorse umane, infatti, deve possedere delle caratteristiche precise e delle abilità specifiche che gli permettano di affiancare in modo efficace gli imprenditori nelle scelte che riguardano uno degli aspetti chiave all’interno di un’azienda, in grado di determinarne successo e reputazione: il suo capitale umano.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Laura Quaranta, professionista del mondo delle risorse umane, di dirci qualcosa in più sulle peculiarità che dovrebbe possedere un buon HR Manager.
“Ci sono delle competenze innate che fanno parte proprio delle attitudini personali delle persone e sono difficili da costruire da zero. Tra queste ci sono l’empatia, la capacità di comunicazione e di relazione con l'altro. Partendo da queste, è possibile poi aggiungere una serie di competenze tecniche essenziali per intraprendere una carriera come HR Manager: capire chi ci si trova di fronte; rapportarsi in modo corretto e stare in comunicazione con altre persone; conoscere il diritto del lavoro e tutto ciò che riguarda assunzioni, dimissioni, disoccupazione e altri processi legati al rapporto lavorativo.
Un altro aspetto molto importante riguarda poi la parte etica e quindi i comportamenti, le consuetudini, e anche la riservatezza, che stanno alla base del rapporto con il cliente. Si entra in contatto con tutto ciò che riguarda il personale e l’azienda, dai costi ai cedolini, dalle storie personali fino alle scelte degli imprenditori, che spesso non possono essere condivise con altri”.
Proprio con l’aiuto di questa professionista abbiamo cercato di indagare alcuni concetti che stanno acquisendo sempre più importanza per chi si occupa di risorse umane e di farci raccontare la prospettiva con cui gli imprenditori si interfacciano con questi temi nel contesto contemporaneo.
Laura Quaranta proviene da un percorso di studi in Gestione delle risorse umane e Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Si è occupata in prima battuta della gestione delle risorse umane nel campo della cooperazione sociale, per poi dedicarsi alla progettazione di corsi di formazione. Ha esperienza nel campo della selezione del personale, soprattutto di figure manageriali di alto livello, e ha lavorato per diversi anni presso un'associazione di categoria sul territorio bresciano. Tre anni fa ha deciso di intraprendere la sua attività in libera professione.
Di cosa ti occupi oggi, Laura?
“Alcuni anni fa ho aperto Temporary HR, il mio studio di consulenza in via Dalmazia, a Brescia. Qui faccio attività da temporary: mi presento alle aziende clienti e faccio per loro un'attività di consulenza temporanea o legata a un singolo progetto. In sostanza mi occupo della gestione del personale sotto tutti i punti di vista, a 360 gradi.
Alla consulenza, quindi, ho aggiunto questo aspetto di temporaneità che è un po’ espressione della società in cui viviamo: oggi non si è più fedeli all'azienda come scelta di vita, per vent'anni o fino alla pensione. Così, per rispondere a queste esigenze, il concetto “a tempo” è diventato un po’ anche il focus della mia attività professionale”.
Il mondo del lavoro, i modelli di business e di gestione delle risorse umane provenienti dai paesi stranieri hanno influenzato fortemente anche il contesto territoriale in cui viviamo e hanno fatto emergere caratteristiche che, fino ad alcuni anni fa, erano distanti dal concetto di PMI tipicamente italiano.
Oltre a un mercato più fluido e competitivo, dove le persone sono portate a cambiare posizione professionale più spesso rispetto al passato, sono affiorate alcune tendenze e si sono affermati comportamenti che richiedono alle aziende risposte efficaci e pronte.
Proprio per queste ragioni le figure HR sono sempre più ricercate.
Che attenzione dedicano le aziende ai temi del welfare aziendale?
“I piani di welfare servono per motivare i dipendenti: bisogna cercare di capire esattamente il personale e i lavoratori attivi in azienda: cosa gli piacerebbe fare?
Come HR, dobbiamo riflettere su quali siano le attività extra lavorative o che possono essere conciliate con il proprio lavoro e che possono permettere agli impiegati di stare bene in azienda e, quindi, impattare meno sul benessere dell’organizzazione. Team building, attività esterne particolari e outdoor, ma anche interne all'azienda, come asili e mense, sono gli strumenti più richiesti dagli imprenditori e sono attività molto fantasiose e divertenti da costruire”.
È l'imprenditore che richiede queste attività o sei tu a fare delle proposte? Come si sviluppa un progetto di questo tipo?
“Il bisogno di un imprenditore non è mai dichiarato esattamente: lui magari porta un problema interno alla sua azienda e tendenzialmente l’HR Manager sa quale sia la dinamica su cui andare a lavorare.
Chi, come me, arriva dall’esterno deve analizzare il problema per cercare di capire da dove deriva in azienda. Una volta esaminato, l’esperto propone una soluzione mettendo in evidenza l'obiettivo e l'attività più affine a risolvere quel tipo di problema. Si redige così il progetto da sottoporre all'imprenditore.
L’HR, quindi, è la mente, la figura che organizza, capisce il bisogno, lo scrive in un progetto, lo presenta all'imprenditore che lo approva e poi da lì organizza le attività previste.
Ciò che fa la differenza, quindi, sono il budget dell'imprenditore e la sua consapevolezza: chi gestisce l’azienda deve comprendere l’utilità e lo scopo di tali attività che risultano essenziali per trattenere i dipendenti”.
La retention dei dipendenti, la capacità di un’azienda di trattenere i propri talenti, infatti, è un'altra delle questioni da approfondire e su cui riflettere all’interno delle aziende.
“Alcuni imprenditori sono molto virtuosi e stanno anticipando questa tendenza. Conoscendo la dinamica e il sistema culturale che caratterizza i più giovani, hanno un'attenzione molto diversa ai temi della ricerca del personale. Spesso capiscono il bisogno perché hanno figli della stessa età e vedono come variano le valutazioni dei ragazzi: spesso questi imprenditori si sono portati avanti, qualcuno ha iniziato a creare delle strategie di retention e a investire sulla funzione HR. Altri invece purtroppo non vedono ancora questa necessità e conservano quell'idea imprenditoriale ancora artigianale per cui preferiscono puntare su nuovi processi di selezione piuttosto che conservare ciò che già hanno”.
E in merito ai percorsi di formazione? Gli imprenditori sanno che far crescere i propri dipendenti e permettere loro di progredire professionalmente impatta la retention e la soddisfazione del personale?
“Dal punto di vista degli imprenditori su questo aspetto c’è poca consapevolezza perché la riconoscenza è ancora fortemente individuale e soggettiva. Non riescono ancora a capire che devono essere costruiti dei piani di carriera adeguati: ti attraggo, ti porto in azienda, faccio in modo che tu stia qua assicurandoti che sarai protagonista di un percorso di crescita legato all'impegno dal punto di vista economico, formativo e della gestione.
Con questa idea chiaramente l'obiettivo è quello di trattenere i lavoratori e di conseguenza di rientrare del costo della formazione per cui l’azienda ha investito. Con l’obiettivo di trattenere il personale, esistono una serie di attività incentivanti come lo smart working, il welfare, i piani di carriera”.