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Tobia Repossi: un percorso sostenibile tra industria, design e amore

Il Green Product Designer è un professionista innovativo che, grazie al suo lavoro, è in grado di coniugare esigenze e obiettivi diversi attraverso la fabbricazione di oggetti che rispondano a bisogni umani, senza dimenticarne funzionalità ed estetica e tenendo alta l’attenzione sui temi della sostenibilità dei materiali, sulla riduzione degli sprechi, sul rinnovamento progressivo delle tecnologie produttive e sull’etica del lavoro.
 

Per definire meglio il ruolo di questo professionista nel contesto moderno abbiamo chiesto aiuto a Tobia Repossi, architetto che si occupa di design industriale in tutto il mondo: “Ho uno studio che lavora tra l’Italia e la Cina, a Shenzhen, nella culla della Silicon Valley asiatica. Ci occupiamo principalmente di prodotti che vanno in produzione con un numero di unità abbastanza elevato. Spesso si tratta di elettronica di consumo, di cose che vengono connesse ad altre tramite WiFi e Bluetooth e che vengono vendute su Amazon, su Radioshack, nelle grandi catene di distribuzione oppure negli Apple Store”.

I corsi associati

Green Product Designer

Sei docente del percorso di Green Product Designer dove ti occupi di Design Thinking, Rendering e Prodotti, Servizi e Processi di Nuova Generazione. Che ruolo ha la sostenibilità nel corso?
“Lo dico in maniera quasi polemica: la parola green è talmente importante che dovrebbe sparire, dovrebbe essere talmente insita da essere data per scontata. Sarebbe come scrivere moving car: come si suppone che una macchina si muova, oggi si deve assolutamente immaginare che il designer si faccia delle domande serie sul futuro e sull'etica di ciò che sta facendo. L'impatto di noi progettisti è pazzesco: nel momento in cui disegniamo un nuovo prodotto e questo viene stampato in centinaia di migliaia di unità l’effetto è enorme, quindi better be good, deve essere fatto bene”. 
 

Cosa cerchi di trasmettere agli studenti nel corso delle tue lezioni? 
“Insegno ai ragazzi che nell'arco degli anni sono state scritte enciclopedie intere dedicate alle metodologie del design e ai metodi per trovare idee, ma che il processo di generazione di un pensiero innovativo e di gestione del progetto è codificato, manageriale, legato a numeri e performance, quindi non ci sono aspetti romantici, estremamente creativi o sregolati. 
Insegno anche che la differenza tra un professionista del design e una persona che ha un'idea in garage è semplice: a noi oggi arriva da disegnare un phon, domani un frigorifero e il giorno dopo una supercar. Insegno loro che non possiamo sapere tutto di frigoriferi, di supercar o di asciugacapelli, ma ci sono modi per districarsi nei diversi campi in cui il design viene applicato”. 

Il mondo del design, si configura quindi come un ambiente mutevole, dove i professionisti devono essere in grado di utilizzare in modo efficace strumenti e sistemi universali adattandoli alle caratteristiche di ogni progetto. È per questo motivo che le aziende sono alla ricerca di figure operative, uomini e donne prodotto, che possano tradurre lo schizzo elaborato su un tovagliolo di  un ristorante in un prodotto tangibile, risolvendone le criticità produttive. 
 

Per essere in grado di interpretare il linguaggio creativo e renderlo realtà servono diverse abilità. Quali ritieni siano le competenze più importanti, anche nella prospettiva di un settore in continua evoluzione?
“Ci sono competenze esecutive, banalmente di modellazione, e competenze culturali che prevedono la conoscenza delle tecniche di produzione e dei materiali. Iniziano poi a intravedersi anche delle competenze empatiche proiettate al futuro, come il rapporto con il pianeta: serve porsi domande concrete su dove va a finire quel pezzo di plastica, su chi lo monta, sulle condizioni in cui viene assemblato, su qual è la vita del prodotto e se è necessario veramente produrlo”. 
 

In questa prospettiva che coinvolge paesi diversi, molte persone e un fitto sistema di relazioni produttive e commerciali, che ruolo avranno i Product Designer? 
“Guardando al futuro, sarà sempre più importante essere in grado di gestire ecosistemi complessi, sia a livello temporale che geografico. Si parla tanto di cloud, di sharing, che non sono solo “paroline” nel nostro mondo, ma realtà operative. Dal punto di vista pratico, infatti, la gran parte dei nostri progetti proviene da imprenditori che sono in Silicon Valley, americani, egiziani o libanesi, che chiedono a noi italiani di pensare al design di un certo prodotto. Noi chiamiamo un produttore di plastica in Malesia, uno che si occupa di elettronica in India o in Vietnam, poi tutto viene assemblato in Cina, viene realizzato il packaging, spedito a Hong Kong e da qui in tutto il mondo. Questa è una condizione assolutamente normale. Time to market? Poche settimane, il margine di errore è ridotto a zero. In questo contesto, la capacità di comprendere le culture, comunicare utilizzando lingue diverse, essere connessi, restare flessibili, è assolutamente fondamentale. Essere sharing oggi non è più solo mettersi davanti al computer e mandare un'email, ma molto più”.
 

C’è un altro aspetto importante che emerge proprio dal tuo modo di occuparsi di design, la passione. 
“Forse sono i capelli bianchi che mi portano a questa divagazione un po’ romantica, ma il prodotto deve essere fatto anche con un po’ di amore. Quando compri un prodotto Apple, ad esempio, e poi lo smonti e ci guardi dentro, vedi che qualcuno ha curato degli aspetti che poteva anche trascurare. Lo si può vedere anche in certe automobili: se apri il cofano di una Lamborghini vedi che dentro ci sono le manine di gente bravissima che ci mette molto più delle ore di lavoro. La passione si trasforma in un’arma di marketing bestiale per questo tipo di aziende e cerco di trasmettere ai ragazzi tutti questi aspetti che sono essenziali nel nostro approccio al design”. 

All’interno delle aule di ITS, inoltre, gli studenti hanno la possibilità di confrontarsi con docenti che provengono dal mondo del lavoro così da ottenere conoscenze che sono estremamente legate al mercato proprio perchè sono gli insegnanti stessi a portare in classe il contatto con le aziende, la freschezza di quanto realizzato la settimana prima, le tecnologie e l’R&D delle aziende più innovative. “In questo corso poi ci sono docenti come Giovanni Tomasini e Marcello Ziliani, designer di grande fama che il mondo ci invidia; nel mio piccolo qualcosa faccio anch'io! Insomma, questi ragazzi hanno la possibilità di confrontarsi con personalità che non trovano fuori da ITS e apprendere proprio da noi la conoscenza del campo”.
 

La percezione di tutti questi elementi, quanto mai concreti e reali, grazie all’apporto essenziale dei docenti, offre agli studenti del percorso di Green Product Designer una finestra attraverso cui osservare il design industriale, cercare di comprenderlo, conoscerlo ed esplorarlo in ogni sua forma, dalla tecnologia all’artigianalità. 


In futuro saranno proprio loro, infatti, gli artefici di questo mondo che cambia, connette persone, unisce paesi e culture, ma soprattutto che deve essere salvaguardato e protetto, anche attraverso un approccio consapevole e innovativo alla produzione industriale. 

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